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Le tre sentenze e l'ordinanza della Consulta in tema di condono edilizio

Analizziamo i contenuti dei 4 provvedimenti della Consulta.

Nella sentenza n. 196 la Corte si è pronunciata sui giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269, presentati dalle Regioni Campania, Marche, Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Lazio.

I ricorsi in questione partono dal presupposto che le previsioni di cui all'art. art. 32 contrasterebbero con il nuovo art. 118 Cost., specie in riferimento al radicale svuotamento del principio di sussidiarietà che deriverebbe dalla disciplina impugnata in un ambito caratterizzato sia da funzioni indubbiamente proprie delle regioni, che da un'area di tradizionale titolarità di funzioni di gestione amministrativa da parte dei Comuni. Né, certo, la natura delle funzioni amministrative di gestione in materia urbanistica potrebbe legittimare la loro attribuzione al livello centrale in nome del principio di adeguatezza, come dimostrato dalla stessa legislazione sul condono, che le mantiene ai Comuni pur vincolandone radicalmente l'esercizio.

A parere della Corte, i suddetti rilievi appaiono in parte fondati, perciò afferma la parziale illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate per violazione delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle autonomie regionali.

Il condono edilizio di tipo straordinario, quale finora configurato nella nostra legislazione, appare essenzialmente caratterizzato dalla volontà dello Stato di intervenire in via straordinaria sul piano della esenzione dalla sanzionabilità penale nei riguardi dei soggetti che abbiano presentato istanza di santoria, assumendosi l'onere del versamento della relativa oblazione e dei costi connessi all'eventuale rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria. E' chiaro che solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalità in materia “di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità”. Per quanto concerne, invece, l'aspetto amministrativo della sanatoria, in riferimento alla disciplina del condono edilizio, solo alcuni limitati contenuti di principio di questa legislazione possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali, cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell'art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili). Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante – più ampio che nel periodo precedente – di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo.

Al tempo stesso, se i Comuni possono, nei limiti della legge, provvedere a sanare sul piano amministrativo gli illeciti edilizi, viene in evidente rilievo l'inammissibilità di una legislazione statale che determini anche la misura dell'anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento ai Comuni. D'altronde, l'ordinaria disciplina vigente attribuisce il potere di determinare l'ammontare degli oneri concessori agli stessi Comuni, sulla base della legge regionale (art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001).

Per ciò che riguarda le Regioni ad autonomia particolare, ove nei rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, lo spazio di intervento affidato al legislatore regionale appare maggiore, perché in questo caso possono operare solo il limite della “materia penale” e quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di “grande riforma” (il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, la determinazione massima dei fenomeni condonabili), mentre spetta al legislatore regionale la eventuale indicazione di ulteriori limiti al condono, derivanti dalla sua legislazione sulla gestione del territorio.

Per concludere sintetizziamo quali competenze vengono, con questa pronuncia, riconosciute alle Regioni:

•  possibilità di stabilire i nuovi limiti volumetrici degli edifici condonabili;

•  determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abusi edilizio;

•  i casi in cui si possa presentare istanza di sanatoria per abusi commessi in aree demaniali;

•  determinare gli effetti del silenzio dei Comuni, dopo che sia stata presentata istanza di sanatoria, con modalità diverse da quelle previste dalla legge statale del silenzio-assenso che interviene dopo 24 mesi dalla presentazione della domanda;

•  la misura dell'anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento.

Per concludere, dunque, lo Stato dovrà emanare una nuova legge sul condono edilizio, provvedendo, così, a ridefinire i termini previsti per la presentazione delle istanze di sanatoria, e prevedendo, inoltre, un termine congruo entro il quale le Regioni dovranno emanare le proprie leggi in materia, nelle quali le Regioni stesse potranno, ad es., fissare limiti volumetrici, ai fini della sanabilità, inferiori a quelli attualmente previsti dalla disciplina statale (non si potrà, invece, fissare un limite superiore ai 750 metri cubi). Resterà, comunque, fermo, il termine del 31 marzo 2003, entro il quale le opere per le quali si chiede la sanatoria devono essere state ultimate.

Cosa succede per le domande di sanatoria che siano già state presentante?

La Corte precisa che sono salve le domande già presentate , che riguardino opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato un aumento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, oppure relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria.

Precisiamo, comunque, che le pratiche pendenti, relative, cioè, a domande di sanatoria non ancora accolte, saranno soggette alle nuove norme che verranno emanate.

Nella sentenza n. 198 la Corte affronta, invece, i ricorsi presentati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri avverso le leggi blocca-condono delle Regioni Toscana, Friuli Venezia Giulia, Marche, ed Emilia Romagna, dichiarando l'illegittimità delle leggi stesse.

Afferma, infatti, la Consulta, che il Titolo V della parte II della Costituzione presuppone che l'esercizio delle competenze legislative da parte dello Stato e delle Regioni, secondo le regole costituzionali di riparto delle competenze, contribuisca a produrre un unitario ordinamento giuridico, nel quale certo non si esclude l'esistenza di una possibile dialettica fra i diversi livelli legislativi, anche con la eventualità di parziali sovrapposizioni fra le leggi statali e regionali, che possono trovare soluzione mediante il promuovimento della questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte. Ciò che è implicitamente escluso dal sistema costituzionale è che il legislatore regionale (così come il legislatore statale rispetto alle leggi regionali) utilizzi la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna, anziché agire in giudizio dinnanzi a questa Corte, ai sensi dell'art. 127 Cost. Dunque né lo Stato né le Regioni possono pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni costituzionali, di risolvere direttamente gli eventuali conflitti tra i rispettivi atti legislativi tramite proprie disposizioni di legge.

Nella sentenza n. 199 la Corte affronta, infine, la questione relativa al conflitto di attribuzione sorto in seguito alla Delibera n. 2827 del 30 settembre 2003, con cui la Regione Campania stabiliva espressamente che “ al fine salvaguardare l'identità e l'integrità del territorio regionale, sempre più compromesso dal dilagante fenomeno dell'abusivismo edilizio, occorre prevedere che non saranno ammesse ipotesi di condono edilizio ulteriori rispetto a quelle previste dal Capo IV della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 ”.

L'atto regionale in oggetto, prosegue la Corte, mira a sottrarre effettività a disposizioni legislative prodotte dallo Stato; esso contrasta anche con il canone della leale cooperazione tra istituzioni della Repubblica”. L'atto impugnato, in sostanza, in quanto volto espressamente ad escludere l'applicazione della normativa statale nel territorio regionale, risulta idoneo ad incidere sulle competenze rivendicate dallo Stato.

Con l'ordinanza n. 197 si pronuncia sulle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 promosse da varie autorità giudiziarie (tra cui il Tar Emilia Romagna, il Tar Piemonte e il Tribunale di Verona). La Corte ordina la restituzione, ai suddetti organi, degli atti con cui erano state sollevate le questioni di legittimità costituzionale delle norme statali sul condono edilizio, perché possano verificare se “ le modificazioni conseguenti alla sentenza n. 196/2004 permettono di superare i dubbi di legittimità che avevano sollevato ”.